Dalla rubrica Libri sui banchi del «Corriere del Ticino» (03.08.2015, p. 21):
Libro tradizionale o libro elettronico? Se ne sente parlare spesso, oggi, e i pareri sono anche molto discordanti. C’è chi dice che il libro di carta non morirà mai, e chi gli ha già fatto il funerale; c’è chi sotto l’ombrellone ama sentire tra le dita la ruvidezza della cellulosa, e chi preferisce “scrollare” le pagine di pixel passando l’indice sul vetro antigraffio del proprio lettore. E ci sono bambini che imitano i grandi, nel bene e nel male, e finiscono per scegliere il supporto che vedono più spesso nelle mani dei genitori.
Ma, diciamo la verità, quante volte capita di essere al ristorante e vedere un bambino intento a leggere un libro di carta, mentre attende che i genitori finiscano le libagioni? Quasi mai. E quante volte invece ci capita di vedere un bambino che, con lo sguardo allucinato, fissa lo schermo digitale di un iPad (per guardare cartoni animati o videogiocare), mentre i genitori parlano o, nella peggiore delle ipotesi, digitano febbrili sui loro cellulari? Sempre più spesso, ormai.
Di fronte a questi dilemmi e a queste situazioni, non posso fare a meno di prendere posizione: sono uno di quelli che sotto l’ombrellone preferiscono avere a che fare con le pagine di carta, e che pensano che il libro tradizionale non morirà mai. Perché sono convinto che nasconda dentro di sé, nel suo impasto di cellulosa e inchiostro, un formidabile valore educativo. Da conservare a tutti i costi.
Ecco che allora bisognerebbe assumere atteggiamenti che invoglino i bambini a scoprire il libro e i tesori che racchiude come un prezioso scrigno (non solo) di parole. E questa scoperta, oltre alla magia delle storie che i libri raccontano, può passare anche attraverso l’avvicinamento all’oggetto libro, inteso proprio come insieme di pagine tenute vicine da una rilegatura e da una copertina che sprona a tuffarcisi dentro. Ben vengano dunque anche quei libri di stoffa e gomma pensati per i bambini più piccoli; ben vengano quelli che possiamo chiamare, con Bruno Munari, “prelibri”.
Già, Munari. Uno dei più grandi artisti del secolo scorso; uno che aveva capito l’importanza di educare i bambini all’arte e alla letteratura. Munari era solito sperimentare con i materiali, per rendere il libro un’esperienza tattile, prima ancora che di lettura, al fine ultimo di avvicinare i bambini più piccoli al fascino del libro come oggetto da toccare, manipolare e annusare. Da questa idea nacquero I prelibri (disponibili ancora oggi grazie al catalogo della Corraini di Mantova), oggetti che hanno solo la forma del libro, ma che sono costruiti facendo a meno della parola scritta e ricorrendo a materiali diversi per assemblare le pagine (cartoncini, carta velina, legno, stoffa ecc.). Oggetti adatti anche ai più piccoli, che non mancheranno di stupirsi e di meravigliarsi, toccando le pagine e “studiando” la fisicità del libro. Oggetti che, con le parole dello stesso Munari, “dovrebbero dare la sensazione che i libri siano effettivamente fatti in questo modo, e che contengano sorprese. La cultura deriva in effetti dalle sorprese, ossia cose prima sconosciute”.
E allo stesso scopo possono servire anche tutti gli albi illustrati che rendono il libro uno strumento per interagire “fisicamente” con il giovane lettore, chiedendogli di “scoprire”, come quelli di due autori che incontreremo nelle prossime due puntate di “Libri sui banchi”: Emanuela Bussolati ed Hervé Tullet. Perché la consuetudine alla lettura passa anche attraverso la magia di libri non solo da leggere.
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